Il Nano rapito (i gialli di Damster) di Lorena Lusetti
Il nano rapito è l’ultima avventura dell’investigatrice Stella Spada, il personaggio nato dalla vispa e irrituale fantasia di Lorena Lusetti. Diciamo subito che il romanzo è divertente, si legge con piacere e curiosità, soprattutto per l’originalità plastica dei personaggi.
L’investigatrice
Bolognese doc (“Il mio studio di Via dell’Inferno, posto nell’antico e centralissimo Ghetto Ebraico di Bologna”), Stella Spada si caratterizza per il carattere aspro e il senso pratico di chi vede nel lavoro non soltanto una passione ma soprattutto una fonte di reddito, è razionale ma ha alcuni cedimenti rabbiosi alla superstizione (spesso si rivolge a Raimondo per avere qualche anticipazione attraverso i tarocchi).
Afflitta da una sorta di agorafobia (“L’idea di andare fuori Bologna mi procura attacchi di panico”), assiste alle apparizioni di un fantasma, con il quale dialoga (“Silvia era la proprietaria dell’agenzia che mi ha assunto alcuni anni fa, è stata uccisa durante un’indagine particolarmente complessa, da me. Un rimorso che ha deciso di perseguitarmi per tutta la vita e forse anche oltre”), e soprattutto ha un vizietto nei confronti della legalità. Ma è decisa a voltare pagina (“Una nuova Stella brilla su Bologna, una Stella che ha sotterrato la Spada”) e, forse anche per questo, decide di assumere (in prova gratuita) un assistente che di nome fa – nientepopodimeno che – Giacomo Puccini! E, pensate un po’, anche il baldo giovane aspirante detective è afflitto da una fobia: la pedofobia (“I bambini… mi fanno orrore…”).
Il giallo
Nella storia s’intrecciano tre casi: uno strambo (“Uno dell’Associazione Orfeonica… ci ha contattati per trovare il loro nano da giardino in gesso che è stato rapito”) e paradossale (“Ma lo sa che Orfeo faceva anche i miracoli?”), che dà il titolo al romanzo; uno ordinario che si risolve da sé, implodendo (“Leandro Leandri… vorrebbe che qualcuno seguisse sua moglie perché sospetta che lei lo tradisca… già la sorte è stata crudele con lui nel dargli un nome…”); uno inquietante che si svolge nella lussuosa villa di un’aristocratica famiglia (“Qualcuno sta sterminando la mia famiglia, anche le mie bambine sono in pericolo, io devo fare qualcosa senza aspettare la polizia”).
Ingaggiata dalla più intraprendente delle sorelle Doria (“La signora Dorella Doria, alla quale in tempi recenti sono successe alcune disgrazie famigliari”), Stella sfida la sua agorafobia (“A me spaventa uscire da Bologna, mi fa orrore l’aria fresca e gli spazi troppo aperti mi sgomentano”) e si reca con l’assistente Giacomo nella suggestiva proprietà tra lago e Appennino. Qui intervista le tre sorelle D (Dorella, Desirée, Diletta), tiene a bada il viscido Armando, patisce i dispetti di un nugolo di bambini scatenati, tra i quali primeggiano due gemelline graziose (“Sono due belle bambine dai capelli biondi e dagli occhi scuri e profondi”), ma che tanto ricordano quelle di Shining (“Sembra si stiano mandando messaggi che a noi umani non è dato comprendere”) per quanto incarnano il concetto di doppio perturbante (“Annuiscono all’unisono, sembrano due cloni”).
Chi sarà il responsabile di delitti sbrigativamente catalogati dalla polizia come tragici annegamenti? Un componente cupido o geloso della famiglia Doria, che emula Il groviglio di vipere di Mauriac (“Simpatici e gioiosi raduni familiari… prendono sempre più i connotati di ritrovi di vipere”), o – come negli algidi gialli di tradizione anglosassone – l’innocua coppia di inservienti della villa?
Lorena Lusetti ha il merito di forgiare un investigatore davvero insolito – allusivamente umoristico, a tratti caricaturale, che cattura simpatia e divertimento del lettore – e di creare una storia intrigante per un piacevole, appassionato e assicurato intrattenimento. E, a questo punto, dopo questa gradita scoperta, siamo davvero curiosi di leggere le altre avventure di Stella Spada…
Bruno Elpis