12 sono i portici di Bologna candidati a patrimonio dell’umanità Unesco*, i più belli e ricchi di storia di tutta la città. Sono portici costruiti in epoche diverse, legati ai palazzi nobiliari, alle piazze che abbracciano, al quartiere dove sorgono. I portici, amati dai bolognesi che senza di loro non sanno stare, di certo sono rappresentativi di Bologna al pari dei Tortellini, delle Due Torri e dell’Università. Altrettanto rappresentativa di Bologna è l’investigatrice privata Stella Spada, unica e senza rivali, che dal suo studio di via dell’Inferno indaga sui casi che le vengono affidati, a patto che siano tutti nel centro di Bologna o poco distante. In questo romanzo breve, un caso molto speciale la obbliga ad una corsa contro il tempo dall’uno all’altro dei 12 portici candidati dall’Unesco* per ritrovare Filippo, il cane della vicina rapito da un misterioso personaggio che le lascia indizi in rima. Riuscirà Stella a ritrovare l’amato sanbernardo? Scoprirà e punirà il crudele rapitore? Non resta che leggere il romanzo, e tuffarsi assieme a Stella in un rocambolesco viaggio sotto i portici di Bologna. * UNESCO: acronimo di “United Nations Educational Scientific and Cultural Organization” (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura)

Il mistero dei dodici portici

Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 140 pagine
  • Prezzo copertina: 13,00
  • Editore: Damster
  • ISBN-13: 978-88-6810-441-2

 


Primo capitolo

Agenzia Investigativa Spada
Via dell’Inferno, Bologna

 

Una giornata autunnale come tante, una striscia di cielo grigio incombe su via dell’Inferno, l’umidità entra dalle fessure dei vecchi infissi della finestra del mio studio. È una di quelle giornate in cui ti senti incline alla malinconia, l’abbracci come una vecchia coperta e rifuggi ogni contatto per crogiolarti nel torpore dei ricordi.

Mi chiamo Stella Spada, sono un’investigatrice privata, il mio studio è in via Dell’Inferno, nel cuore di Bologna, nell’antico Ghetto Ebraico. C’è scritto anche in una targa in ottone posta fuori dalla porta d’ingresso, sul vicolo, che Alda lucida con cura tutte le mattine: “Agenzia Investigativa Spada”. L’ho messa da poco, ma devo ammettere che è stata una buona idea. Chi ha bisogno di me di solito mi contatta attraverso un sito internet, ma anche la targa mi ha fruttato qualche cliente. Brilla nel vicolo poco illuminato attirando l’attenzione dei passanti.

Tutto merito dell’Alda. Lei abita al piano di sotto, e posso dire che è la mia sola amica. Alda è una signora anziana che mi tiene in ordine l’ufficio, mi prepara da mangiare, mi sprona a lavorare quando mi lascio un po’ andare. Vive da sola con un cane sanbernardo di enormi dimensioni di nome Filippo. Si potrebbe definire una signora un po’ eccentrica, ama riempirsi di monili tintinnanti, indossa parrucche colorate, si trucca eccessivamente. Quando andiamo al bar assieme sento gli sguardi dei curiosi su di noi, e qualche risolino, non so mai se rivolti a lei o a me. Anch’io sono una persona non propriamente nella norma, però cerco di passare inosservata, devo farlo per il mio lavoro.
Ogni mattina Alda sale per le pulizie e per portarmi la colazione. Puntuale come una cambiale alle otto infila la chiave nella toppa, appena apre uno spiraglio Filippo si insinua, galoppa nel corridoio graffiandomi il parquet, ruzzola nel mio studio come una valanga di pelo e bava e mi salta addosso con le sue zampe da orso leccandomi la faccia in uno slancio di affetto. Di solito mi ancoro alla sedia per non cadere e urlo all’Alda di richiamare il bestione. Il solo pensiero mi fa sorridere, cosa farei senza Alda e senza Filippo? Non posso nemmeno immaginare la mia vita senza la loro ingombrante e inopportuna presenza.

E infatti, mente sono immersa in questi inutili pensieri, sento la chiave girare nella serratura e la porta che si apre. Mi avvinghio ai braccioli della sedia, mi puntello con i piedi alla scrivania e aspetto l’assalto di Filippo. Che strano però, non sento graffi sul parquet né rumore di mobili urtati sbandando in curva, sento solo un ciabattio di pantofole affrettato e un mugolio che si avvicina. Rimango ancorata ugualmente trattenendo il respiro. C’è troppo silenzio e questo non va bene, non va affatto bene.
I miei timori si concretizzano all’apparire di Alda sulla porta dello studio. È in lacrime, si tampona la bocca con un fazzoletto, il pesante trucco intorno agli occhi è colato dandole l’aspetto di un vecchio panda, la parrucca bionda stile Raffaella Carrà le pende triste da un lato. È una visione troppo forte persino per me che ne ho viste tante nella mia carriera di investigatrice, provo a dire qualcosa ma mi esce solo uno sfiato, intanto però ho ripreso a respirare.
— Alda! Ma cos’è successo?
Alda non mi risponde, continua a rimanere in piedi mugolando. Mi avvicino e la prendo delicatamente per le spalle accompagnandola fino al divanetto, lei si lascia condurre docilmente. Ci sediamo entrambe, sotto le mie dita sento le sue spalle ossute sussultare per i singhiozzi. Però qualcosa mi deve dire, non posso aspettare in eterno per sapere cosa le è capitato.
— Alda cara, qualcuno ti ha aggredita? Ti hanno insultata? Hai perso la dentiera? Voglio aiutarti, lo sai che farei qualunque cosa per te, però mi devi dare almeno un indizio.
— …ippo …ato
— Un calippo annegato?
Scuote la testa.
— Un inghippo educato?
— Ma insomma Stella, possibile che non capisci? Poi dicono che sono sorda io. Filippo è stato rubato.
La guardo bene negli occhi per capire se mi sta prendendo in giro, ma la sua disperazione sembra sincera. Comunque non posso evitare di mettermi a ridere, non so se per il sollievo o per una reazione nervosa.
— Ma che ti ridi Stella, cosa ridi boia d’un mond leder, hanno rapito Filippo, l’hai capito o no?
— Alda, ascoltami, mi sembra abbastanza improbabile che qualcuno si accolli un vecchio cane come Filippo, un sanbernardo ingombrante e disubbidiente come lui. Ma nemmeno se paghi qualcuno per prenderselo. E dove te lo avrebbero rubato?
— Ero entrata nel negozio del salumiere per comperare della mortadella, l’ho lasciato fuori dalla porta legato al palo del divieto di sosta e quando sono uscita non c’era più.
E giù altre lacrime copiose, seguite dal tintinnio delle collane sui sobbalzi del petto ossuto.
— Ma no, ma cosa vai a pensare? Si sarà liberato e sarà andato a correre dietro ai piccioni, lo sai che ha la fissa per quei volatili, quando vede un piccione non ragiona più e parte all’inseguimento. Ora scendiamo e lo andiamo a cercare, vedrai che lo troviamo qui intorno, scommetto che non è nemmeno uscito dal ghetto.
Alda smette di piangere e mi guarda con l’aria della maestra che non sa più come far capire all’alunno somaro che due più due fa quattro. Si fruga nelle tasche e tira fuori un biglietto sgualcito e me lo porge. Lo afferro per riflesso condizionato tenendolo con due dita.
— Cos’è questo schifo, è tutto bagnato.
— Non è colpa mia se mentre lo leggevo stavo piangendo, leggi, leggi cosa c’è scritto.
Non è un’impresa facile, le lacrime di Alda hanno cancellato alcune lettere. Faccio del mio meglio.
— Dunque, questa mi pare una U, e se non sbaglio qui in fondo ci deve essere un’altra parola che però non si vede bene, ma dove hai preso questo foglio?
— Stava legato al palo con il guinzaglio di Filippo.
Perbacco, non sarà mica che Alda abbia ragione e qualche squilibrato si sia portato via il cane. Forse è stata la Municipale che lo ha portato in canile.
— Senti Alda, ma Filippo era in regola con le tasse e le vaccinazioni?
— Ma quali tasse e quali vaccinazioni? Vuoi leggere per favore senza dire assurdità?
Proprio come mi immaginavo. Cerco di leggere il biglietto ad alta voce.

“Un affetto per un affetto, un cuore per un cuore.
Cosa sei disposta a fare per il tuo amore?
Se Filippo vuoi riabbracciare sotto al treno ti devi lanciare,
riuscirai a farlo senza annegare?
Attenzione Stella, ti aspetto alle dieci, se non ti vedo Filippo muore.”

Alda ha smesso di piangere e mi guarda infuriata.
— Hai capito? Questi ce l’hanno con te. Ma cosa hai combinato questa volta? E perché poi devono prendersela con il mio piccino, non possono farsela direttamente con te che sei grande e grossa?
A parte il fatto che Filippo è più grosso e pesante di me, comunque nemmeno io riesco a capire chi possa avere una mente così malata da ideare una cosa talmente macchinosa. Anzi, in realtà avrei una lista di squilibrati piuttosto lunga, ho conosciuto tanta gente strana nelle mie indagini, quelli che possono avercela con me sono ormai davvero tanti. Ma sono tutti trucidi delinquenti, non ce li vedo a scrivere in rima e organizzare cacce al tesoro.
— Allora? Che si fa ora? Eh? Che si fa?
— Calma Alda, stai calma, ora risolvo tutto io. Che ore sono? Le otto e mezza? La stazione è poco lontana, ci metto un attimo ad arrivarci. Andrò a buttarmi sotto al treno senza annegare e ti riporterò Filippo.
— Ma cosa dici, ti stai ascoltando? Queste parole non hanno senso.
Un’altra chiave si infila nella porta, nel corridoio risuona il passo rapido e saltellante del mio stagista Giacomo, che appare sulla porta inopportunamente sorridente e pieno di energie brandendo il cartoccio della pasticceria.
— Buongiorno, qualcuno vuole un cornetto ancora caldo?
Il suo sorriso si smorza vedendo Alda con il trucco colato e il mio sguardo che lo fulmina sul posto. È un ragazzo sveglio abbastanza da capire le circostanze al volo, così viene a sedersi sul divano con noi e mette un braccio attorno alle spalle dell’Alda.
— Posso sapere cos’è successo?
Gli racconto l’accaduto e gli faccio leggere il biglietto.
— E adesso che si fa? — mi chiede Giacomo.
— Cosa vuoi che faccia? Vado in stazione, probabilmente lì ci sarà la persona in questione che mi aspetta, o Filippo, o non so che altro. Comunque mi ha dato un orario, le dieci, e quindi devo andare.
— Aspetta un momento Stella, secondo te perché ti dice che potresti annegare? In stazione? Ma non ha senso.
— Insomma, non ha nemmeno senso che uno si porti a casa quel sacco di pulci se è per questo, qui non ha senso nulla, intanto farò come dice lui.
— Quel sacco di… cosa? Senti, il mio Filippo è più pulito di te, hai capito?
Alda sarà pure affranta ma non rinuncia al suo orgoglio.
— Scusa.
Mi alzo dal divano e vado a prendere la borsa e la giacca.
— Giacomo, tu vieni con me?
— Certo che vengo, ma non credo proprio che dobbiamo andare in stazione.
— E perché no? Dove posso buttarmi sotto al treno secondo te?
— Se non vuoi annegare devi prendere una barca. Una barca! Hai capito?
— Veramente no, e se non ti spieghi meglio sotto al treno mi sa che ci finisci tu.
— Stella, tu lo sai che a Bologna abbiamo una zona Barca, e che alla Barca c’è un edificio basso, lungo e porticato conosciuto come “il treno”?
Però, mica scemo il mio stagista, lo sottovaluto troppo spesso. Chissà, forse un giorno potrei anche pensare di assumerlo in pianta stabile. È irritante però che questo sbarbatino abbia fatto un tale ragionamento prima di me, davvero irritante.
— Potrebbe essere così, ma potrebbe essere anche che in stazione si sia allagato uno dei tunnel dell’alta velocità. Comunque possiamo verificare se la tua idea è buona, non ci resta che andare sotto il portico del treno, in zona Barca, almeno quel treno lì non può travolgermi. Andiamo a vedere, che ci costa.
Alda abbraccia Giacomo in un impeto di gratitudine, imbrattandolo di rossetto e rimmel.
— Ma quanto è bravo il mi fangein, bravo, proprio bravo.
Lo stagista cerca di divincolarsi dal troppo affetto.
— Vai tesoro, vai alla Barca e riportami Filippo, mi fido di te. E tieni d’occhio Stella, mi raccomando, ultimamente ha sempre la testa tra le nuvole.
Ecco, adeso l’eroe è lui e io sono da tenere d’occhio. Quasi quasi ci mando Alda alla Barca con Giacomo.
Indosso la giacca con sdegno e mi dirigo verso la porta.
— Allora, sei ancora lì? Vogliamo andare?
Giacomo si divincola dall’abbraccio di Alda con uno strattone e mi viene dietro saltellando. Alda continua a urlarci qualche raccomandazione che non posso sentire perché sono ormai nel vicolo.
— Hai un casco anche per me? — dico a Giacomo quando riesce a raggiungermi.
— Ma certo, lo scooter è parcheggiato proprio qui davanti.
Brandisce ancora in mano il cartoccio della pasticceria.
— Be’, sarebbe un peccato buttare via quei cornetti così buoni, non credi? Hanno dentro la crema?
Afferro il sacchetto e mi metto a mangiare. Con una mano tolgo un granello di polvere dalla targa d’ottone davanti alla porta. Mentre mastico il cornetto la guardo con orgoglio “Agenzia investigativa Spada”. Che soddisfazione!

 


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